Derivati dalla marineria mercantile, i “crash box” si installano ormai anche su yacht da diporto, come per esempio sullo Stem 50, oltre a essere obbligatori su alcune barche da regata oceaniche. Vediamo cosa sono e in che modo salvano lo scafo dal rischio di affondamento a seguito di una collisione.
Quando si naviga il pericolo di collisioni con altre unità, rocce, bassi fondali, ma anche oggetti alla deriva e detriti è molto serio e concreto. Le statistiche degli ultimi anni raccontano di un progressivo aumento delle collisioni in mare, nonostante tutta la tecnologia installata a bordo e strumenti di navigazione sempre più precisi, come Gps, Radar, sistemi Ais, etc. È un problema che riguarda soprattutto le zone ad alto traffico marittimo naturalmente, ma anche tratti di mare più remoti. Basti pensare ai sistematici incidenti di questo tipo che si registrano durante le regate oceaniche e i giri del mondo.
A essere in aumento sono anche le collisioni con i pericolosi container persi dalle navi cargo durante le tempeste. Questi grandi contenitori in acciaio lunghi dai 6 ai 12 metri non vengono quasi mai recuperati dalle navi in navigazione e vagano alla deriva galleggiando a pelo d’acqua. Sono molto difficili da identificare da skipper e comandanti. Ultimamente anche i grandi cetacei, come orche e balene, costituiscono un serio rischio di collisione. Basti pensare alle decine di episodi riportati dalle cronache di scafi addirittura aggrediti e affondati da branchi di questi giganti del mare. Una delle zone più colpite è sicuramente lo Stretto di Gibilterra, dove si sono verificati diversi incidenti. Uno dei più significativi è avvenuto a luglio 2024, quando lo yacht britannico “Bonhomme William” è stato affondato da un gruppo di orche. Come riporta il Times, l’equipaggio di tre persone è stato salvato dalla guardia costiera spagnola.
Una sicurezza contro collisioni e incidenti in mare
Per questa ragione, progettisti e cantieri cercano di realizzare mezzi navali capaci di resistere a urti e collisioni. Per farlo, dotano tali mezzi di alcune soluzioni tecniche che, anche in caso di urti e aperture di vie d’acqua a bordo, permettono agli scafi di continuare a galleggiare o addirittura a navigare. Parliamo per esempio dei cosiddetti “crash box” che aumentano notevolmente la sicurezza degli scafi. Utilizzati in origine dalle navi passeggeri e commerciali, tali dispositivi negli ultimi anni sono sempre più presenti anche a bordo degli yacht da diporto, come per esempio lo Stem 50. E addirittura sono obbligatori su alcuni cabinati che affrontano regate oceaniche e giri del mondo a prescindere dalla lunghezza dello scafo.

Vediamo allora cosa sono esattamente i “crash box”, perché si chiamano così, dove vengono installati a bordo e perché sono così importanti per la sicurezza degli equipaggi in caso di collisioni, falle e incidenti allo scafo.
Come fanno le barche e le navi a galleggiare?
Per far sì che una nave o uno yacht mantengano l’equilibrio idrostatico è necessario dunque che il peso della massa di acqua spostata eguagli il peso dell’imbarcazione. Per questo, le unità navali hanno una stabilità di peso e di forma ottimizzate anche in caso di aumento della massa totale. Ad esempio, quando si carica l’equipaggio o le attrezzature.
Cosa succede tuttavia se il peso del mezzo navale aumenta a causa di un ingresso accidentale di acqua attraverso una falla? Se il peso aggiuntivo della massa d’acqua non viene compensato con un aumento della capacità di galleggiamento, il rischio è quello dell’affondamento.

Evitare a tutti i costi le falle nello scafo
Per scongiurare questo tipi di incidenti ci sono azioni preventive, come prudenza e allerta dell’equipaggio, turni di guardia e vedette, sistemi tecnologici anticollisione. Così come manovre di emergenza che si possono mettere in atto a incidente avvenuto. Ad esempio, tentare di otturare eventuali vie d’acqua nello scafo attraverso l’uso di appositi cunei turafalle, stucco epossidico presa rapida, e altro.
Siccome tuttavia il rischio di eventuali collisioni in mare rimane una costante, per evitare l’affondamento c’è l’alternativa dei cosiddetti “crash box” installati nello scafo. I “crash box” sono in pratica delle paratie stagne che creano delle zone appunto ermetiche e separate dal resto dello scafo. Quando tali sezioni imbarcano acqua a causa di un urto violento contro gli scogli o di una collisione, la paratia stagna impedisce all’acqua di raggiungere le altre parti dello scafo. In questo modo la barca continua a galleggiare tranquillamente e anche a navigare.

L’idea dei “crash box” deriva dalla cosiddetta “compartimentazione” utilizzata a bordo delle grandi navi passeggeri e da carico. Le paratie stagne, ossia i compartimenti, sono stati introdotti per legge nella struttura degli scafi alla fine del XIX secolo con un “corpus” di normative e convenzioni internazionali tese propria a disciplinare i vari aspetti della sicurezza della navigazione. Via via quella normativa si è evoluta e arricchita nel tempo, dopo varie esperienze anche drammatiche, non ultima il celebre affondamento del “Titanic”.
La sicurezza anti affondamento dei “crash box”
Oggi i “crash box” costituiscono una dotazione obbligatoria a bordo di alcuni monotipi da regata oceanici. È il caso della classe Imoca che partecipa al Vendée Globe (giro del mondo in solitario e senza scalo), oppure dei Class 40.

Possono essere inseriti in diversi punti dello scafo, a prua come a poppa, e si trovano a bordo anche di barche da crociera, catamarani compresi. Di solito prevedono un oblò installato sulla stessa paratia che permette di controllare l’interno della zona stagna. Quest’ultima può ospitare anche materiali, impianti e attrezzature.

I “crash box” si differenziano dalle cosiddette “riserve di galleggiamento”, anche queste molto diffuse e obbligatorie per esempio sempre sugli Imoca, sui Class 40 e sui Mini 6,50. Le “riserve di galleggiamento” sono parti dello scafo che vengono riempite di speciali schiume di poliuretano espanso a cellule strette e ad alta galleggiabilità che prevengono il rischio di affondamento della barca in caso di urti e collisioni. Queste sezioni in pratica assorbono l’impatto e possono anche andare distrutte senza condizionare la galleggiabilità della barca. Secondo i vari regolamenti di classe, devono essere numerate, identificabili e installate in zone precise dello scafo.
I “crash box” sono installati anche sullo Stem 50
Tra gli yacht da diporto di ultima generazione a bordo dei quali sono installati i “crash box” c’è lo Stem 50 del cantiere italiano Stem Marine. Questo cabinato a vela in alluminio di 15 metri destinato alla grande altura è progettato dall’architetto navale francese Nicolas Purnu e presenta ben due “crash box” inseriti a prua e a poppa, come nei migliori cabinati oceanici.

Una soluzione votata espressamente alla sicurezza dell’imbarcazione che si aggiunge sia alla costruzione in alluminio, metallo estremamente solido che resiste già di per sé a urti e collisioni, sia ad altre caratteristiche come la chiglia e i timoni lavorati dal pieno per avere una resistenza straordinaria anche in caso di urto. In particolare i progettisti hanno prestato un particolare cura nel rendere stagni e a prova di collisione tutti i passaggi delle paratie che sono attraversate dagli impianti elettrici, idrici, di riscaldamento e soprattutto di ventilazione motore.
Del resto quello della sicurezza degli scafi è un principio che Stem Marine applica a tutte le proprie imbarcazioni. Sui battelli destinati al soccorso, all’antincendio e al pattugliamento sono per esempio installate delle speciali paratie anticollisione.
In conclusione per tutti coloro che navigano poter contare su uno scafo a prova di collisione è una grande garanzia di sicurezza. I “crash box” installati sullo scafo in questo senso sono un ottimo compagno di viaggio, anche se quello che non deve mai mancare veramente a bordo è la prudenza e la consapevolezza dei rischi.